M ale non fare paura non avere, dicevano i nostri nonni, ma non è sempre vero. In un mondo sempre più sorvegliato, il riconoscimento facciale emerge come uno strumento potente per la sicurezza, ma anche come una potenziale minaccia alle libertà individuali.
Sistemi di riconoscimento facciale, un tempo fantascienza, sono oggi realtà diffusa, impiegati per scopi che vanno dallo sblocco di smartphone alla sorveglianza urbana. Promettono di rafforzare la sicurezza, identificando criminali, ma sollevano profonde preoccupazioni in merito alla privacy e al controllo sociale.
Nei regimi non democratici, l’utilizzo di queste tecnologie è spesso privo di limiti. Il riconoscimento facciale diventa un braccio armato del potere, utilizzato per monitorare la popolazione, sopprimere il dissenso e identificare gli oppositori politici. La raccolta massiva di dati biometrici consente una sorveglianza onnipotente, trasformando nazioni in un “Grande Fratello” distopico. Le conseguenze per i diritti umani sono devastanti, con rischio di rappresaglie. Cina docet.
Anche negli stati democratici, l’impiego del riconoscimento facciale non è esente da problematiche. Leggi spesso ambigue o lacunose lasciano spazio a interpretazioni estensive. Si assiste a una proliferazione di telecamere dotate di questa tecnologia in spazi pubblici, senza un dibattito adeguato. La “sicurezza” diventa un pretesto per una sorveglianza pervasiva che rischia di erodere il diritto all’anonimato.
Un aspetto critico emerge in contesti di manifestazioni pubbliche. L’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale può avere un effetto intimidatorio sui manifestanti.
La consapevolezza di poter essere identificati scoraggia la partecipazione per timore di ritorsioni future. Ciò mina il fondamento delle società democratiche.
È imperativo che il progresso tecnologico sia accompagnato da un robusto quadro etico e legislativo che salvaguardi i diritti fondamentali. È sempre più necessario un dibattito aperto sull’equilibrio tra sicurezza e libertà, assicurando che la tecnologia sia al servizio dell’uomo.
Emanuele Chesi