La fiamma di Falcone rivive con i giovani

Magistrato, presidente del senato, presidente di una fondazione, Scintille di futuro, impegnata a diffondere la cultura dell’antimafia alle giovani generazioni. E proprio in quest’ultimo impegno Pietro Grasso ha trovato, come ama ripetere, la sua “terza vita”: incontra gli studenti di tutta italia, dialogando con loro e rispondendo alle loro domande, facendo rivivere un’epopea che ha nomi e cognomi “sacri” come Giovanni Falcone, l’amico di una vita, e Paolo Borsellino. È stato così ancora una volta il 12 marzo, nella sede di Cia-Conad di Forlì, nell’incontro, organizzato dalla Fondazione Conad Ets, con un centinaio di studenti dell’Istituto Tecnico Garibaldi-Da Vinci e del Liceo Statale Vincenzo Monti di Cesena.

L’abilità di Grasso è di sapere raccontare una storia che a molti appare antica, a tratti dolorosa, con aneddoti toccanti, come quello dell’accendino consegnatogli dall’amico Falcone. E di condividere un impegno contro la mafia che ha trovato un pubblico ideale nelle ragazze e nei ragazzi delle due superiori cesenati, che l’anno incalzato sui particolari della sua vicenda. E allora la storia diventa, e come potrebbe essere il contrario, esemplare, nonostante lo sforzo di Grasso di mischiare gli episodi pubblici, eclatanti, con i tratti quotidiani, come se il suo fosse stato un lavoro qualunque.

La “lezione” ha toccato i perché della criminalità organizzata e la difficoltà che incontra lo stato quando decide di contrastarla. Alla domanda “dove si nasconde a mafia oggi” Grasso ha ripercorso il suo periodo a Palermo, quando si contarono circa mille omicidi, mentre oggi in tutto il territorio nazionale sono calati del 72 %. «Detta così sembrerebbe che la mafia sia stata sconfitta invece non è vero, perché quando non ci sono situazioni di emergenza, scontri interni vuol dire che le mafie lavorano d’amore d’accordo, si nascondono, si mimetizzano per tranquillizzare l’opinione pubblica. Ma poi emergono le loro attività criminali».

Le tante domande, precise e puntuali, dei ragazzi hanno permesso a Grasso di entrare in profondità in quello che significa mafia ed essere mafiosi. Ed ecco schizzi di personaggi marginali che cercano di accreditarsi come cittadini ineccepibili ma che sono “lupi in veste di agnelli”, incontrati per strada anni dopo quando hanno scontato la pena e hanno fatto carriera nei ranghi mafiosi. O altri che durante il processo mostrano il proprio coraggio con gesti estremi, come il cucirsi le labbra col filo di ferro, a testimoniare che non si è disposti a parlare.

La curiosità degli studenti ha cercato di disseppellire sentimenti che risalgono al periodo del maxiprocesso, come cosa avesse provato nell’essere lì, come giudice a latere e quali sono i sentimenti che oggi prova per i tanti mafiosi che avevano riempito l’aula bunker. Grasso non si è fatto pregare e ha sintetizzato in poche parole un periodo in cui cambiò il vento della lotta alla mafia, perché «era il momento in cui un manipolo di magistrati rialzava la testa per trasformare il modo di affrontare la criminalità». Insieme ai fatti sono risuonati i nomi delle tante vittime di quegli anni: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella. «Il processo durò circa 21 mesi e si chiuse con 35 giorni in camera di consiglio per deliberare: alla fine sono stati inflitti 19 ergastoli, 2.665 anni di carcere e 11 miliardi e mezzo di multa. Per me è stata una grande emozione fin dall’inizio, dal momento in cui sono entrato nell’aula bunker».

Un’ultima battuta Grasso l’ha voluta riservare alla cooperazione: «La mafia è organizzazione e per contrapporsi alla mafia occorre organizzarsi. La cooperazione è il modo migliore per organizzarsi e contrastare la mafia, cercando di tenere fuori quelle relazioni di cui la mafia è fatta»

Paolo Pingani

articolo tratto dal n.3/2025 della Visione Cooperativa

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